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Tour di spettacoli a fini sociali in Marocco - Mago J, spettacoli di magia per adulti e bambini

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Tour di spettacoli a fini sociali in Marocco

Foto
Giullari senza Frontiere
Marocco 2006

Rodrigo "Rod" Morganti
Lucio "Conte" Schippa

Jefte "Mago J" Fanetti
Federico "Filmaker" Tinelli
Storie dal Marocco

Un viaggio e un’avventura scritta a otto mani e, in qualche caso, anche con i piedi

La storia di Jefte

Marocco – Novembre 2006

La truppa in missione è così composta:

-Rodrigo Morganti, il Rod, capo del drappello, non fosse altro perché è l’unico che parla il francese! Con la sua eloquenza riesce sempre a organizzare al meglio tutte le situazioni e a farci conoscere tutte le ragazze nel raggio di un chilometro. Clown e giocoliere di fama condominiale riesce a coinvolgere nello spettacolo tutti con gran risate. Interessantissimi i suoi interventi iniziali in cui mostrava le mutande e faceva così fuggire tutte le donne musulmane. Dopo i primi due spettacoli si è deciso che era meglio se le mutande non le faceva vedere, così da non provocare fughe femminili a metà spettacolo.

-Lucio Schippa, il Conte, giocoliere di eccelsa bravura, riesce ad incantare tutti facendo roteare le sfere tra sue mani come se danzassero per conto loro. Parlando lo spoletino riesce a farsi miracolosamente capire in ogni situazione. Ottimo insegnante nei laboratori di giocoleria, ci tiene a trasmettere questa arte a tutti quelli che ne hanno le capacità. Lui è l’anima equilibrata del gruppo e riesce a tirare fuori piccole perle di saggezza in ogni situazione.

-Federico Tinelli, il FilmMaker, il filosofo e regista del gruppo. Accende la sua telecamera solo se ha l’ispirazione. Riesce a vedere in ogni situazione ciò che l’occhio umano comune non riesce a percepire, ha un’anima poetica e come tale spesso casca dalle nuvole. Riesce a perdere tutto continuamente, tant’è che a fine viaggio perde perfino uno dei suoi due bagagli che rimane disperso tra Casablanca e Barcellona. Il suo talento traspare dalle sue parole e come si legge dai suoi racconti riesce ad affascinare tutti con la sua percezione delle realtà in cui andiamo a fare spettacolo.

- Jefte Fanetti, io, bello, simpatico, forte, intelligente, astuto, intrigante, prestigiatore di fama mondiale, sex symbol dell’anno. Sono il perno del gruppo. Senza di me gli altri sarebbero persi e non saprebbero destreggiarsi in un paese straniero. Pendono tutti dalle mie labbra quando parlo perché ciò che dico è oro. Devo ogni tanto dare una pacca sulle spalle ai miei compagni di viaggio così possono pensare che un giorno potranno diventare come me. E sono anche una persona umile e modesta.

La missione in Marocco è ben organizzata, grazie al lavoro di Elena Magoni e lo staff degli Amici dei Bambini. Insomma, non abbiamo certo il tempo di fare i turisti. E qui sta il bello di questi viaggi: abbiamo un passepartout per entrare direttamente all’interno della cultura locale. Avvicinandoci alle persone con i nostri spettacoli ci facciamo subito amici tutti, in particolare con una nazione ospitale come il Marocco. In men che non si dica ci ritroviamo subito invitati a cena di qua e di là e ci troviamo imbarazzati da tutti i piccoli regali che ci vengono offerti. La nostra allegria e al grande disponibilità da parte di tutti fanno da contrappeso alle dure realtà che andiamo a visitare.

Con il sorriso sulla bocca, ma con un macigno sul cuore giro tra le camerate del quinto piano dell’ospedale di Meknes, adibito ad orfanotrofio. I bambini vivono in venti o più in stanzette tutte ricoperte di materassi. Stanno bene di salute, mangiano e non sono deperiti, ma non escono mai da questo piano se non per andare a scuola… chi ci va. La libertà , tanto preziosa a noi artisti, viene negata a tutti questi bambini. Mi vedono e hanno una grande paura: nel loro piccolo universo, nella loro stanzetta è entrato qualcosa di insolito. L’educazione e i piccoli traumi che questi bambini si portano nel cuore sono grandi massi che dovranno spostare per farsi avanti nel mondo. File di neonati da zero a tre mesi, abbandonati alla nascita, fanno da soprammobili in cassettoni uno sull’altro in questi stanzoni, come delle galline in un pollaio. A poca distanza stanno costruendo un bel centro per loro, che sarà concluso nel giro di pochissimo tempo, con cortili e ampie stanze. Un boccata d’aria per tutti questi bambini abbandonati.

La parola d’ordine per tutti questi spettacoli con bambini timorosi è: spettacolo “soft”. Rod, abituato al grezzo spettacolo da strada in cui si vedono più le sue mutande che la sua faccia, freme, ma si trattiene. Ci avviciniamo con calma ai bambini. Qualcuno si spaventa comunque, ma in poco tempo lo riprendiamo e gli strappiamo un sorriso. Rod incanta tutti con le sue bolle di sapone giganti, quando gli vengono. In poco tempo riusciamo a incassare risate da tutti quanti, finendo per far ballare tutti al ritmo di “O mia bella madunina”, canzone tipica marocchina.

Tanti i volti e le persone che rimangono nel cuore dopo una simile esperienza:

- Khadda e Sanaa, le nostre favolose traduttrici, che trascorrendo tanto tempo con noi ci inoltrano nella vita marocchina, evitandoci di fare troppe figuracce in giro. Ma qualche gaffe la facciamo comunque.

- Aziz, educatore di Casablanca, nonché ballerino provetto, che ci permette di fare due spettacoli “de paura”: un cerchio di 800 bambini in un quartiere molto disagiato che ci accoglie come se arrivasse Michael Jackson. Uno spettacolo a San Siro ci avrebbe dato lo stesso tipo di emozioni.

- Flore, piccola perla del Ciad che lavora in Aibi. Con i suoi sorrisi ci fa sentire a casa. Peccato che non sappia fare la spesa!

- Carlotta e Emanuela, due ragazze in formazione per Aibi, un apporto dolce e femminile al nostro gruppo di artisti grezzi e poco raffinati. Ci seguivano spesso nei nostri peregrinagli dandoci una mano in molte occasioni.

- Krimo, un ragazzo marocchino, di un modestissimo quartiere, che ha deciso di fare il mago. Ci ha invitato tutti a casa sua a mangiare a mi ha fatto veder tutti i suoi attrezzi. Sono rimasto sconvolto! Non solo si è costruito tutto da solo, ma si è proprio inventato i giochi di magia. Io con le mie centinaia di libri e video mi sento sempre incompleto e lui è diventato mago con la sola forza della sua passione, diventando pure bravo! Una bastonata sui miei denti e sulla mia professionalità.

- Morzuk, bambino di Meknes che ci portava le nostre pesantissime valigie da spettacolo e si offendeva se cercavamo di aiutarlo. Il suo ultimo bacio sulla guancia mi brucia ancora adesso

.… volti, sensazioni ed emozioni che regala un viaggio fatto con scopi umanitari. Non si sa se il nostro operato sia servito a qualcosa. Come sempre ciò che si riceve da questi viaggi è diecimila volte più grande di ciò che si da. Lasciamo un piccolo pezzo di cuore nelle persone che incontriamo e guadagniamo una boccata di ossigeno per la nostra vita.


I racconti di Federico

UNA TERRIBILE MAGIA

I Giullari senza Frontiere si apprestano a fare spettacolo nella sala principale al quinto piano del famigerato ospedale Mohammed V. Sono stato con loro in giro per il mondo a documentare quello che credo essere una delle esperienze più importanti della mia carriera di regista e della mia vita personale: Clown, Giocolieri, Maghi, a far spettacoli per i bambini di tutto il mondo, dall’Italia all’India, dal Brasile alla Cambogia.  Oggi Marocco.

Il neon impasta tutti gli spazi di una luce cupa, i suoni si riverberano in maniera caotica, qualcosa di me entra in tilt. Decido di appoggiare cavalletto e telecamera professionale vicino a quei giochi con cui gli attori tra poco cominceranno a far ridere le creature. Sento l’esigenza di mettere da parte i miei strumenti, per una volta. Devo poter avvicinarmi, avvicinarmi davvero, a cio’ che altrimenti diventerebbe l’oggetto distante del mio sguardo digitale.
I bambini
Mentre cammino lungo il corridoio davanti ai miei occhi si alternano le stanze in cui sono ammassate decine di bambini. Da farsi venire la claustrofobia. Come puo’ essere che una citta’ intera faccia finta di non vedere tutto questo? I fanciulli mi guardano tutti: curiosi, impauriti, algidi, entusiasti, oscillanti, terrorizzati, apatici, esaltati, impazziti, bui, amorevoli, spersi, immobili, disperati, speranzosi. Ecco si’, mi guardano tutti ed io non ho intenzione di limitarmi a ricambiare lo sguardo, cerco come posso di vincere la mia timidezza, sono abituato a rappresentare il mondo, mostrandolo agli altri, perché prenda coscienza dell’ingiustizia e reagisca. Oggi invece non dimostrero’ nulla a nessuno, voglio essere anch’io clown, giocoliere e mago.

“Te, come ti chiami, non Mohammed, perché ad un orfano non si da il nome del profeta, comunque te, che ti sei attaccato alla mia mano mentre passavo.
Mi perdo nei tuoi grandi occhi neri,
dilatati ancor di più dallo stupore di vedermi fare le boccacce di un fesso.
Ma quanto sei felice di di vedermi? Sai, non m’importa di chi e’ la responsabilita’,
ora sei qui e bisognerà in qualche modo tirarti fuori da questa prigione con materasso.
Sei d’accordo vero? Come facciamo?”

Io gli proporrei di nascondersi nella valigia per venire a far spettacoli in giro per il pianeta, lui mi risponderebbe che gli basterebbe una casa con vista sulla Medina in buona compagnia. Purtroppo non saro’ io a trovargli quello che gli serve. Anzi, lo spettacolo sta per cominciare, devo andare a lavorare, lui non potrà vederlo perché è troppo piccolo. Ho il problema di staccarmi da lui, senza ferirlo, senza ferirmi. Gli indico uno dei Giullari che sta passando poco lontano e mentre lui si distrae, vigliaccamente sparisco. Non me la sentivo di abbandonarlo mentre mi guardava.Ho fatto una terribile magia, sono sparito.

“Mabruk, piccolo, che tu possa essere fortunato e trovare quello che desideri.”

LA POZZANGHERA

Giullari si dirigono verso l’androne dove avverrà lo show. Non riesco nel caos generale a distinguere chi, fatto sta che qualcuno si fà la pipi’ addosso. Succede davanti ai miei occhi disorientati. Un’infermiera arriva vicino alla pozzanghera, si mette una parte del grembiule davanti alla bocca e il naso, scavalca e con una smorfia d’indignazione procede oltre. Quando tocca a me superarla, mi aggredisce un odore pungente, acre, come di ammoniaca mischiata al rancido dell’urina di un gatto. Che cosa mai mangeranno qui i bambini? Cerco di scavalcare il perimetro del liquido con una larga falcata, per evitare di portarmelo sotto le suole in giro per le stanze. Accorgimento che i bambini non hanno! Slittano, scivolano, zampettano, anche a piedi scalzi, anche li’! Dopo un po’ il corridoio è tutta una strisciata di piscio. In allegria!
Litigio tra il mio naso e la mia bocca. Il mio naso vorrebbe portare la mia bocca in una smorfia di schifo. La mia bocca, che mi vorrebbe senza il naso, smette di respirare ma continua a sorridere per non deludere nessuno dei presenti:

“Signora infermiera. Perché invece di passare oltre, non si è fermata a pulire?”

Poco dopo mi chiedo. Quante ne pulira’ al giorno? E se anche la pulisse, quanto tempo manca alla prossima? E se il bambino l’avesse fatta per l’eccitazione di vederci?

Quando un’infermiera deve passare, ore, giorni, mesi, anni della sua vita a prendersi cura di decine di bambini da sola, quando nel tempo il problema non si risolve ma aumenta, rimanere in un ospedale come questo forse più che un lavoro diventa una condanna. Alternative? Facilmente nessuna. Figli di stupri, rapporti occasionali, prostitute, turisti, giovani bisognose, serve, tradimenti. Figli di rapporti immorali per l’islam, un tempo uccisi ed ora rimossi dalla società islamica dentro questo lager.

Tutti insieme, bambini e infermiere, si mettono in cerchio, ridono delle gag dei Giullari. Un momento, solo un momento d’aria, in cui l’odore pestilenziale di quegli umori scavalcati sembra lontano.

ILLUMINAZIONE

Casabanca. Sanah la nostra interprete che è nata e vive qui, confermando le mie impressioni, dice che tutto il Marocco chiama questa città: la Piovra. Sembra costruita a metà, davvero come non fosse mai stata progettata sulla carta, né mai ultimata nella realtà. Interi quartieri spianati dalle ruspe, baraccopoli nascoste dietro muri semidistrutti, strade ampie colme d’automobili rabbiose, i palazzoni impersonali del centro si abbandonano in periferie infinite a tratti disabitate o invece intasate di mercati fumanti e colorati, traffico e caos grigio, cemento e terra che si miscelano indistintamente, spazzatura e detriti che fan da humus ai pochi alberi rimasti. All’aria si è sostituito un gas irrespirabile e maleodorante, la gente cammina lungo le strade perché i marciapiedi non esistono, oppure sono invasi da camion o divelti dai lavori, crateri profondi e abbandonati chissa’ per quanto tempo. Le schiene rotte dei muli portano quintali di merce e di uomini, rubando qualche metro d’asfalto ai taxi ricolmi.

Questa mattina uscendo dall’albergo per venire all’orfanotrofio mi sono sentito in un ambiente totalmente ostile. Lungo il selciato che conduce alla meta i nostri piedi incontrano un gatto ucciso dalle automobili, lasciato li’ a gonfiarsi, immobilizzato in un’espressione di dolore. Per un attimo vorrei fuggire. Il mare che abbraccia tutta la citta’, non sembra neanche appartenere a questa dimensione! E mi chiedo dove potrei appoggiare i miei occhi alla ricerca di un isola felice.

Rodrigo, Lucio e Jefte, sono sempre allegri. Mettono un passo avanti all’altro, ridendo di tutto quello che incontrano. Quanto mi sanno insegnare? Per un attimo senza dirci nulla ci scambiamo degli sguardi complici. Continuiamo a camminare in silenzio per un po’. Perché farmi intimidire dalla voce grossa e prevaricatrice della Piovra? Mi accorgo che nonostante tutto, questa minaccia non puo’ essere valida.
Illuminazione.

Siamo come quattro eroi di un film western, i nostri corpi smettono di trasudare la città, siamo impermeabili a qualcosa che prima ci aveva imbevuti, la nostra pelle trasmette luce. Mi sento come in un sogno. Tutto diventa una giostra, non piu’ malvagia, manifestando il suo significato. I giudizi sono come fiori appassiti, che la morte ha reso pronto concime per nuovi desideri.

Con questo spirito varco la soglia di Sidi Bernoussi, l’orfanotrofio in cui spenderemo una settimana. Conosco queste strutture prima ancora di vederle. So che i muri saranno bianchi, la luce fioca, i cortili di cemento saranno disseminati di pozzanghere, pietre di cemento rappreso, le stanze degli uffici fredde, gli spazi dei ragazzi dense d’aria viziata. So che nei loro volti sara’ racchiuso tutto il senso di questo incontro. La mia esigenza di avere cose belle intorno, cosi’ frustrata dall’ambiente, rimane come in sospensione.

Dopo una settimana passata a giocare con loro, ne ho la conferma. I nostri cuori, quello dei Giullari, il mio, quello dei ragazzi, s’incontrano lontani da queste mura, difficile e inutile dire dove. I colori si manifestano dove nessun occhio avrebbe saputo trovarli!

REGOLE DEL GIOCO

Faccio una passeggiata nella Medina di Fez, un po’ meno distratto del turista distratto che a volte sono. Immagini.

- Un bimbo di tre anni, cammina incurante delle centinaia di persone che scorrono lungo il reticolato infinito della citta’ antica. Ha il volto contratto in una smorfia di dolore lancinante. Non emette lacrime, ne’ suoni di alcun genere. Cammina come di fretta, come un adulto, diretto chissa’ dove. E’ cosi’ visibilmente inconsolabile, che sembra si possa rompere al sol toccarlo!

- Un ragazzino di sette, otto anni spinge un carretto sorridendo che sara’ tre volte lui, verso una parte del mercato chissa’ quanto lontana. Lesto lesto. All’inizio direi che e’ entusiasta, come di una novita’, un grosso giocattolo a due ruote. Poi noto che prende schiaffetti, coppini, calci nel sedere di alcuni adulti che ridono lungo i margini della strada. M’interrogo sulla natura del suo sorriso. Li conoscera’ o non li avra’ mai visti prima? Ride perche’ ridere è uno dei modi che ha per sdrammatizzare? Fa buon viso a cattivo gioco? Vuole dimostrare ai grandi di non essere toccato dal loro sarcasmo, dalla loro aggressivita’? Cerca di mitigare i loro animi come puo’?

- Uno dei giullari compra delle cartoline, belle colorate. In una di queste si vede l’antica conceria di Fez, è talmente affascinante che non possiamo non andare a vederla dal vero. Arriviamo sulla terrazza che la domina dall’alto. I turisti non soddisfatti delle cartoline, scattano fotografie. Da cosi’ distante sembra una specie di alveare. Un bel momento di folclore operaio autoctono. Il fatto è che nonostante ci diano della menta per coprirci la bocca, gli odori che arrivano da li’ in basso sono terrificanti. Bello stare in alto a fare i guardoni ma se decidessimo di incontrarli? Scendiamo, attraversiamo un cunicolo e stiamo tra di loro per dieci minuti. Per fabbricare il cuoio, le pelli, le tinture, gli operi s’infilano nelle vasche di argilla, dai piedi alle mani, dentro a una mistura di acqua, cromo, coloranti, cacca di piccione, grassi animali. Cerchiamo di evitare che gli schizzi ci sporchino i vestiti e contemporaneamente di evitare che si accorgano che questo in fondo significa evitare loro. Pronti per uscire l’operaio si appella ad un gruppo di ventenni che parla italiano e ci chiede il pizzo per la visita. Fanno blocco, ci isolano e io mi spavento un po’. Sei libero di stare lontano con gli obiettivi puntati come allo zoo ma se decidi di stringergli la mano, diventi un bersaglio; non di una protesta organizzata contro l’occidente benestante o un potere monarchico che li mantiene poverissimi ma di una mafia di giovinastri coi vestiti firmati e le mani in tasca. Gli operai analfabeti pensano di servirsi di essa, in realtà asservendola.

Ecco tre stagioni dell’anima fotografate in una passeggiata: il bimbo, il ragazzino, il giovane abitante di questa citta’.

La sera Nadia, cooperante italiana che vive nella Medina di Fez, ce la descrive come la parte piu’ tradizionale e chiusa su di se’ della citta’, termometro dei sentimenti atavici e delle volonta’ politiche del popolo marocchino. Dopo un bicchiere di vino ci informa delle regole del gioco:

Come funziona la vecchia citta’?
Piu’ sei piccolo piu’ devi lavorare.
Piu’ sei piccolo piu’ prendi botte.
Piu’ sei piccolo piu’ devi alimentare i grandi.
Viceversa.
Piu’ sei grande piu’ non devi lavorare.
Piu’ sei grande piu’ puoi, devi dare botte.
Piu’ sei grande piu’ riesci a farti alimentare dai piccoli.


Il report di Rodrigo

Questo viaggio è nato dal suggerimento di Francesca Mineo e fortemente voluto dall’incontro di Elena Magoni con Andrea Guermani.
Elena è la responsabile in Marocco di Amici dei Bambini e Andrea è il fotografo dei Giullari, già conosciuto da Amici dei Bambini.
L’entusiasmo trasmesso da entrambi ci ha portato a pensare ad un intervento anomalo per i Giullari, ma che sicuramente ci incuriosiva, e che ora, a “viaggio” finito, possiamo dire che ci ha arricchito molto (naturalmente in termini d’esperienza).

La proposta iniziale era quella di intervenire nelle due realtà (Meknes e Casablanca) e cercare di dare una formazione ai ragazzi più adulti ospitati negli orfanotrofi, tenendo conto che questi (nel nostro immaginario) dovrebbero o potrebbero essere dei fratelli maggiori degli altri bambini.
Visto il periodo prescelto (periodo di vacanze in Marocco, il che vuol dire meno bambini presenti nei centri, almeno sulla carta) abbiamo anche proposto, cosa già più abituale per noi, di dare una formazione agli educatori che lavorano in questi centri.

Altro obiettivo era quello di portare il nostro spettacolo nelle situazioni più diverse e continuare con le riprese del nostro documentario.

Vista l’anomalia del nostro intervento abbiamo deciso di venire in numero minore rispetto al solito (tre artisti seguiti dal regista del documentari anziché il solito gruppone di 14) per vari motivi:

Sfruttare al massimo le energie dei partecipanti sapendo che il gran numero sarebbe stato limitante per ciò che riguarda i seminari.
Economicamente non avevamo definito il tutto e il nostro budget di partenza era abbastanza basso (600 euro).Considerarla una “esplorazione” visto che da parte nostra c’era l’interesse di dare una continuità al lavoro… e ci è sembrato che quest’intenzione fosse la stessa di Amici dei Bambini.
Continuare questa collaborazione con Amici dei Bambini. Jefte e Rodrigo erano già stati in Moldova e Ucraina per Amici dei Bambini e si voleva vedere come questa collaborazione potesse evolvere, nell’interesse di entrambe le organizzazioni.

Sottolineo che la cosa che più ci interessava era quella di dare continuità, anche se la situazione di partenza ci era pressoché ignota. Benché Andrea ed Elena abbiano provato a spiegarcela, finché non ci siamo trovati nei centri non si è definita.

Parlando dei seminari posso affermare che entrambe le situazioni sono state interessantissime ma completamente differenti:

-A Meknes i bambini (e non ragazzi) che sono intervenuti erano piccoli e quindi il nostro lavoro si è avvicinato più all’animazione che all’educazione (studiare una pedagogia e un metodo con obiettivi futuri).
-A Casablanca finalmente abbiamo lavorato con ragazzi, ma ci siamo resi conto che i laboratori potrebbero essere strutturati meglio (definire meglio il numero dei partecipanti e la loro partecipazione).

Per essere stata una prima volta siamo comunque molto soddisfatti. Sfrutto questo report per scrivere le mie impressioni e naturalmente per pensare a come migliorarla.

Indispensabile e lodevole il lavoro delle due traduttrici (Sanaa e Khadda) che si sono dimostrate un valido aiuto e che ci hanno colpito per il tatto che avevano con i ragazzi.

Indispensabile e arricchente il lavoro di tutte (Elena, Flore, Carlotta, Manuela, Khadda e Sanaa), ci è sembrato di vivere in un gruppo già consolidato.

Indispensabile il sostegno economico che ci ha dato Amici dei Bambini, sostenere le spese dei biglietti aerei, gran parte di quelle di vitto e alcuni alloggi e spostamenti, visto che non essendo noi nè Associazione, Fondazione o altro ci porta ad avere ancora più difficoltà a reperire dei fondi.

Fantastico anche il supporto che ci ha dato l’associazione Casa Flore, nella persona di Aziz, che ci ha permesso di andare ad intervenire in altre situazioni (centro giovanile di Sidi Bernussi e baraccopoli Sidi Moumen ).

Lodevoli e arricchenti anche gli incontri con Krimo (mago di Sidi Bernussi) e dei ragazzi di Aziz che oltre a fruire dei nostri laboratori a Casablanca ci hanno aiutato a lavorare coi ragazzi, oltre essersi dimostrati degli amici e averci omaggiato dell’ospitalità marocchina.

Benché sappiamo che ci sia stato a monte un gran lavoro organizzativo da parte di Flore ed Elena con le associazioni ospitanti, abbiamo capito la difficoltà di organizzare e quanto tempo debba essere sprecato in riunioni che a volte sembrano più formali che altro e dove si ripetono cose che poi vengono ignorate (ad esempio la nostra richiesta di lavorare con ragazzi adulti e possibilmente di dare una continuità al lavoro era uno dei capisaldi delle nostre corrispondenze da prima della nostra partenza).

Vedendo l’impossibilità di lavorare con gli educatori dei centri (benché fossero stati invitati a partecipare nessuno si è presentato) abbiamo pensato che, come già successo in Moldova, sarebbe interessante lavorare con gli educatori di cui Amici dei Bambini si avvale, e quindi scambiare qua le nostre esperienze con Aziz, Hisham, le loro associazioni e i loro collaboratori e pensare questo intervento in Marocco e, perché no, anche in altri paesi.

Cosa possono apportare i Giullari al lavoro di Amici dei Bambini?

Continuare il lavoro coi ragazzi negli orfanotrofi, strutturando meglio gli interventi e magari mirarli a persone specifiche.

Consapevoli del valore del nostro spettacolo, senza false modestie, sappiamo che questi possano essere sfruttati (come fatto) come pubbliche relazioni con altre associazioni, per dare più pregio e conoscenza ad Amici dei Bambini.

Lavorare con gli educatori dei quali Aibi si avvale, essendo noi professionisti dello spettacolo e della formazione, esplorando diversi linguaggi artistici (giocoleria, magia, burattini, improvvisazioni, giochi etc.etc.)

Riteniamo ottima la scelta di venire in poche persone nell’idea che quest’esperienza continui ci dovremmo avvalere di un rimborso spese totale, parlo delle spese di vitto alloggio e viaggio.

Il commento di Lucio

A Meknes mi è sembrato inutile il lavoro che abbiamo fatto dal punto di vista formativo, in quanto i ragazzi erano troppo piccoli e non avevamo continuità con lo stesso gruppo. Era meglio lavorare con gli educatori. Nello stesso tempo l'ho trovato arricchente, perchè mi è sembrato che i bambini non giocassero molto con gente adulta e mi è sembrato che avevano bisogno di sfogarsi e in questo caso lo abbiamo fatto facendogli fare giochi dinamici.
A Casablanca invece, avendo ragazzi più grandi e vedendoli tutti i giorni, abbiamo potuto dare una continuità alla formazione e visti i risultati che abbiamo ottenuto in 5 giorni, credo proprio che sia stato positivo e si è avuto modo di individuare soggetti che erano più predisposti rispetto ad altri.
Per quanto riguarda gli spettacoli per me è stato una novità, nel senso che non avevo mai lavorato con bambini così piccoli e spaventati dal diverso. Questo mi ha dato modo di cercare una chiave più dolce ed attenta ad entrare nel loro mondo, ovviamente utilizzando mezzi che, come bolle di sapone, palloncini e musica, affascinano qualsiasi bambino del mondo Così facendo li abbiamo conquistati ed era bello vedere che all'inizio piangevano e scappavano, mentre alla fine cercavano, con uno sguardo, un saluto con la mano o addirittura spesso con bacini sulla guancia, un contatto.Questa esperienza mi è piaciuta, in quanto avere una continuità di lavoro con i ragazzi è stato un po' vivere la loro quotidianità (anche se particolare), ma ciò credo che mi abbia dato modo di avvicinarmi di più ad una cultura diversa dalla mia ed a comprenderla meglio.
La cosa che mi è mancata a differenza delle mie altre esperienze, è stato fare gli spettacoli direttamente in mezzo a loro, come nelle baraccopoli o nei quartieri disagiati ed avere un contatto più ampio con un pubblico di varie età. É forse per me più comprensivo, perchè alla fine è il metro di misura che più conosco, il contatto con la gente comune


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